Recensione di Ghost in the Shell (2017)

Ghost in the Shell è il remake live action in salsa hollywoodiana dell’omonimo franchise giapponese.

Si tratta di una storia a se stante (che non chiude la possibilità di un sequel) dove vediamo questa nuova incarnazione del Maggiore interpretato da Scarlett Johansson.

La vicenda è una sintesi tra il film del ’95 e Innocence: molte scene sono copiate per intero, e altre riproposte con alcune variazioni. Ritroviamo oltre ai cyborg, i robot di Innocence, le mimetiche termo-ottiche, e diversi personaggi tratti da questi due film.

Se non conoscete Ghost in the shell aspettatevi un film di azione abbastanza lento, e aspettatevi anche di non riuscire proprio a seguire tutta la storia dato che alcune scene sono inserite solo come riferimento.

Se conoscete Ghost in the shell non aspettatevi lo stesso livello di intreccio politico degli originali, e neppure una filosofia particolarmente originale sulla vita delle e nelle macchine.

L’aspetto più godibile del film è certamente la scelta estetica della città, che in molte immagini sembra addirittura disegnata, e in particolare l’onnipresenza di enormi ologrammi pubblicitari. Le musiche, al contrario, non sono paragonabili con quelle originali.

Il film e la storia non aggiungono nulla al franchise originario.

Ghost in the shell non è un brutto film, ma il peso del classico originale rende impossibile non far paragoni e allo stesso tempo il timore reverenziale da parte del regista lo ha portato a far scelte che non facilitano la visione a chi non conosce già il franchise.

Ghost in the shell funzionerebbe molto meglio se al posto di essere Ghost in the shell fosse una storia sufficientemente originale e scollegata dall’opera giapponese.

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