Recensione e gameplay di Killer Frequency

Un serial killer si aggira per le strade di Gallows Creek e solo Forrest Nash, il DJ radiofonico che sta tenendo la sua trasmissione notturna dagli studi della radio locale, potrà salvare gli impauriti abitanti della città.

In questo gioco interpretiamo proprio il ruolo di Forest Nash, il gioco è completamente in prima persona e si svolge all’interno della radio locale, una palazzina di due piani più cantine, e in particolare si svolge per la maggior parte nello studio radiofonico dove riceviamo telefonate e suoniamo dischi.

Come abbiamo detto la città è in pericolo, lo sceriffo è stato ucciso e noi abbiamo dovuto prendere il posto del locale 911 rispondendo alle richieste di emergenza. Il gioco copre una fila di telefonate dove dovremo scegliere tra varie opzioni di dialogo cercando di salvare gli ascoltatori. In alcuni casi avremo bisogno di uscire dal nostro studio per andare a recuperare alcune informazioni.

Oltre al dialogo le telefonate possono contenere anche un minigioco o puzzle da risolvere. Se riusciamo a fare tutto bene il nostro ascoltatore si salverà, altrimenti avrà la peggio. In entrambi i casi la storia proseguirà con alcune variazioni. Killer Frequency è la versione estesa di un gioco dallo stesso nome presentato alla Adventure Jam 2019 e disponibile gratuitamente.

Le meccaniche di gioco sono molto simili, ma questo titolo completo certamente è molto più raffinato sotto tutti gli aspetti, dalla grafica, all’audio, alla storia, e soprattutto nell’interazione con gli oggetti circostanti. Oltre a questo il gioco è sottotitolato in italiano, il che è praticamente necessario essendo un gioco interamente basato su dialoghi vocali.

Ho completato questo gioco in circa 5 ore e non sono riuscito a salvare tutti gli ascoltatori: alcuni enigmi non mi sono stati chiari nel momento in cui sono stati presentati, ma probabilmente rigiocando una seconda partita dovrei essere in grado di risolverli. Killer Frequency è ambientato negli anni 80: l’arredamento dello studio radiofonico riflette molto bene il periodo, in particolare i mixer e l’apparecchiatura con i bordi in legno mi ricordano i mixer che vedevo nei tardi anni 80.

Una cosa che a mio parere però rompe l’immersione è che i personaggi che parlano al telefono molto raramente sono costretti dal limite di dover utilizzare solo dei telefoni fissi. In quasi tutte le missioni non è spiegato come l’interlocutore possa muoversi e contemporaneamente telefonare: certamente è stato fatto per rendere alcune azioni più dinamiche, ma non è realistico che tutti gli ascoltatori abbiano un cellulare, o che ci sia copertura in questa cittadina sperduta.

Il tono dei dialoghi è molto leggero, forse troppo leggero per una situazione drammatica come quella descritta. Le situazioni sono spesso comiche, cosa che effettivamente è una caratteristica di molti film horror slasher degli anni 80.

Come elementi horror c’è naturalmente sempre una certa tensione ogni volta che ci si allontana dalla sicurezza dello studio, ma non ci sono mai jumpscare, a parte un paio nel tutorial iniziale. Non ci sono neppure elementi grafici come sangue o scene visivamente violente: tutta la violenza la sentiamo solo tramite telefono.

In conclusione Killer Frequency è un buon gioco, senza particolari difetti, che unisce una sorta di Work Simulator, ad una storia ben scritta che ci pone davanti ad alcuni puzzle e ad un po’ di leggera investigazione.

L’aspetto horror è leggero e può piacere anche ai non amanti del genere. La colonna sonora originale fa bene il suo mestiere di portarci negli anni 80, così come tutto l’arredamento. Il gioco può essere finito in meno di 4 ore, ma ci sono contenuti per circa 6 ore di gioco, e può essere rigiocato per cercare di salvare tutti, o vedere cosa succede in alternativa.

Si tratta però di un gioco molto particolare senza azione e dove tutta la storia arriva via audio, quindi ve lo consiglio solo se avete apprezzato la versione gratuita, o se siete particolarmente amanti dei radiodrammi, e degli horror anni 80.

Recensione di Cook Serve Forever

Conosciamo la serie Cook Serve Delicious per tre eccezionali giochi che mescolano velocità di digitazione, memoria, e time management ad alcuni aspetti manageriali semplici. Cook Serve Forever però non è Cook Serve Delicious 4.

Questo gioco prende una strada radicalmente differente a tal punto da poter essere considerabile come uno spin off ambientato nello stesso mondo di gioco, nel quale comunque il nostro lavoro sarà cucinare piatti in un modo nuovo.

Partiamo dall’elefante nella stanza: il nuovo sistema di cucina. Non è più necessario memorizzare decine di ricette e scrivere rapidamente e correttamente. Ogni ricetta è divisa in passaggi, ogni passaggio corrisponde ad una sequenza di tasti da premere. Ad esempio ci può essere chiesto di premere il tasto A due volte il tasto X per mezzo secondo, quindi un tasto qualunque, e quindi nuovamente lo stesso tasto. 

Come può trasparire dalla descrizione questo gioco è ottimizzato per il controller rispetto alla tastiera. Il gioco è giocabile anche con tastiera naturalmente, ma personalmente ho sempre usato il controller. Vediamo il resto del loop di gioco: il gioco è diviso in giornate di lavoro, all’inizio di ciascuna giornata scegliamo liberamente 6 piatti da includere nel menù; ogni giornata è divisa in tre round, all’inizio di ogni round possiamo scegliere una difficoltà ulteriore da applicare: tra le difficoltà abbiamo combinazioni più complesse, tasti nascosti, tasti negati (ovvero dovremo fare il contrario di quanto istruito), e riduzioni del timer di gioco. 

Esatto il gioco ruota attorno ad un singolo timer di soddisfazione generale dei clienti, guadagnamo tempo ogni volta che completiamo un passaggio della ricetta, quindi la velocità di esecuzione e la precisione è tutto. Completati i tre round riceviamo dei punti con i quali possiamo sbloccare livelli successivi nelle location. Ogni location ha 20 livelli e al momento ci sono 11 location nella prima area, e sono previste in tutto 5 aree che verranno sbloccate durante l’early access. Guadagnando livelli si prosegue con la storia e si sbloccano mano a mano le location. La storia è raccontata tramite cutscene non interattive, anzi, cutscene dove in realtà continuiamo a cucinare ma in modo più rilassato e senza il timer. 

Seguiamo la storia di Nori Kaga, aspirante chef che si trasferisce con la sua coinquilina Brie nella grande città di Helianthus, una sorta di città “solarpunk” futuristica ed ecologista abitata da una vasta schiera di hipster e dal modello di vita della protagonista, la chef Rhubarb. La storia è piacevole e “strana”. Come avevamo visto nel post apocalittico Cook Serve Delicious 3 la storia non si ferma alla cucina ma va a toccare altri temi, dei quali non discuto ulteriormente per non rovinare la sorpresa. Per il comparto artistico la grafica riprende gran parte dello stile da Cook Serve Delicious 3. 

Un buon comparto anche per le voci con Emme Montgomery che ha interpretato Whisk nel titolo precedente e torna come voce di Chef Rhubarb, accompagnata da più di una decina di attori e attrici. Parlando di voci il titolo è al momento è solo in lingua inglese, e il video introduttivo non è sottotitolato. Alle musiche Jonathan Geer ci porta un’altra serie di pezzi gradevoli e adatti come sottofondo a questo frenetico gioco.

In conclusione Cook Serve Forever all’attuale stato dell’early access è un gioco molto ben fatto dal punto di vista qualitativo, e senza particolari bug. Ha però un gameplay loop molto limitato. La scelta dei diversi piatti è praticamente ininfluente: vero che ogni ricetta ha i suoi passaggi e che dopo un po’ di tempo di gioco si cominciano a notare le ripetizioni, ma non siamo assolutamente al livello dei Cook Serve Delicious dove la memorizzazione delle ricette, e quindi la scelta dei piatti, è particolarmente influente. Allo stesso modo le location di gioco non cambiano per ora nulla: sono solo sfondi diversi dove ripetere lo stesso gameplay loop. 

Ora: il gameplay loop è di per sé divertente, e di fatti non mi sono neppure accorto di averci giocato per 4 ore. Ma è veramente semplice: una sorta di passatempo molto accessibile, ma che certamente non tutti troveranno divertente o appagante. Quindi allo stato attuale dell’early access mi sento di consigliarvi questo gioco se cercate un livello moderato di sfida con un contorno qualitativo molto alto. Ve lo sconsiglio invece se vi aspettate qualcosa di simile ai Cook Serve Delicious.

Recensione di Desktop Hacker

Tra i work simulator quelli dedicati all’hacking sono i più coinvolgenti. Se si gioca su un computer con un mouse e una tastiera infatti tutto quello che il gioco deve fare è mostrarci l’interfaccia del computer con cui attuare i nostri crimini informatici.

Ed è proprio questo che fa Desktop Hacker, il nuovo gioco di Cybercritics per il quale ho ricevuto una copia gratuita. In Desktop Hacker interpretiamo il ruolo di un latitante che ha commesso qualche forma di insider trading.

Ci siamo rifugiati in una casa di campagna di un amico e abbiamo appena acceso uno strano computer (l’interfaccia del gioco). Questo computer che apparentemente sembra essere bloccato è in realtà un potente strumento di hacking, e nel corso del gioco, supportati da un nostro amico, sbloccheremo una serie di programmi per eseguire hack complessi: Prevalentemente furti o modifica di informazioni.

Il gioco ha sostanzialmente tre fasi, che cercherò di illustrare utilizzando solo le informazioni già leggibili nella descrizione del prodotto.

La prima fase è una sorta di tutorial dove vengono mano a mano sbloccate tutte le funzioni del gioco partendo dai programmi semplici fino ad arrivare ad un potente tool di hacking: il programma Pandora.

Nella seconda fase avremo a disposizione una bacheca di missioni tra cui scegliere liberamente. Alcune missioni richiederanno l’uso di Pandora, altre solo i programmi di base, e altre ancora la combinazione delle due cose. La terza fase è il finale, dove avremo nuovamente alcune missioni di storia.

La terza fase è il finale: un’altra serie di missioni principali che ci porteranno fino ad una dei due, o forse tre possibili finali.

Veniamo ora al gameplay: abbiamo la possibilità di effettuare gli hack sia attraverso il terminale, sia attraverso un’interfaccia grafica. Io ho sempre utilizzato il terminale, che naturalmente richiede di digitare i comandi.

Il gioco ci tiene abbastanza la mano – in particolare nelle missioni principali – suggerendo quali comandi utilizzare. In generale non si può sbagliare: si tratta di digitare i comandi in ordine per completare la missione.

Questo aspetto è parecchio debole per un gioco di hacking: il bello di questi giochi è l’esplorazione autonoma e anche l’uso improprio dei comandi a nostra disposizione per ficcanasare, ma in questo gioco siamo su dei binari.

Ci viene proposta qualche scelta etica, ma non una vera libertà d’azione. Oltre ai comandi da terminale abbiamo anche Pandora.

Pandora è sostanzialmente un minigioco nel quale ci muoveremo all’interno del sistema attaccato e combattendo in vario modo. Purtroppo ho trovato questo minigioco confuso, e sono riuscito a superarlo semplicemente andando in giro e usando il tasto esplora fino a quando in maniera casuale sono arrivato all’obiettivo della missione.

Al di fuori dell’hacking abbiamo anche da pagare l’affitto e faremo questo attraverso un conto offshore. Anche qua nulla di complicato. C’è anche un ciclo giorno notte, ovvero lo schermo diventa scuro e dovremo premere il tasto dormi per farlo ritornare chiaro. Anche qua però non ho notato conseguenze di gameplay.

Nel complesso mi sembra che questo gioco abbia una serie di meccaniche abbozzate che avrebbero potuto rendere la fase centrale del gioco più lunga se fossero state portate a compimento.

Ho dato un’occhiata ai file del gioco e tutta la storia e missioni sono in file di testo. Penso sia quindi possibile espandere il numero di missioni, e provare anche a far qualcosa di più complesso con l’attuale motore.

Il gioco richiede attorno alle due ore per essere completato: non è particolarmente difficile da completare e la storia è piacevole. Non ho notato particolari bug al di fuori di qualche testo che non scala correttamente all’apertura delle finestre e impiega qualche secondo per andare a posto.

Una cosa che migliorerei come qualità della vita è agganciare direttamente il cursore alla finestra attiva in modo da poter digitare senza dover ogni volta cliccare sulla casella di testo.

Seppure tutte le missioni come ho detto son facili c’è un Achievement che richiede un po’ di – vero hacking – per così dire, ovvero quello chiamato “Nicely done” che è il più divertente da sbloccare.

In conclusione Desktop Hacker è un buon gioco, anche se corto. Semplice da completare, e penso adatto a tutti quelli che vogliono provare un “simulatore di hacker” senza affrontare altri giochi più complessi che si trovano nella stessa categoria.