Halloween: Come le Feste Americane entrano nel Nostro Calendario

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Giusto per farsi un’idea di come era conosciuto Halloween qui da noi fino agli anni ’80 “The Great Pumpkin”, il misterioso personaggio che secondo Linus sarebbe dovuto sorgere dall’orto più sincero per distribuire doni ai bambini, è stato tradotto in Il grande cocomero, e non la grande zucca.

Oramai anche da noi si sono diffuse le Jack-o-lantern e i bambini, emuli di Lucy e Charlie Brown, hanno cominciato a girare casa per casa dicendo “Dolcetto o scherzetto”.

Ma quand’è che Halloween ha cominciato a ricavarsi un posto nelle nostre tradizioni?

Prima del 2000 ricordo che Halloween era un pretesto per incontrarci tra amici e giocare una sessione horror a lume di candele nere di qualche gioco di ruolo come Il richiamo di Cthulhu, Vampiri o al limite Dungeons and Dragons. A quei tempi però noi eravamo quelli “strani” dato che facevamo qualcosa per Halloween. Quando non avevamo voglia di giocare ci sparavamo una rassegna di film horror, tra cui quasi sempre “La notte dei morti viventi”.

Da una quindicina di anni almeno Halloween è arrivato nelle discoteche del nord italia: ricordo infatti che durante i primi 2000 l’azienda per la quale lavoravo aveva realizzato alcuni video a tema Horror per accompagnare il DJ set di una discoteca comasca.

La grossa diffusione però penso sia stata causata da Heineken che grazie ad una grande campagna di marketing ha portato dal 2003 (o forse anche prima, ma non ricordo) la festa di Halloween in tantissimi bar e pub: ricordo infatti i pacchetti per decorare i locali con pipistrelli, ragnatele e immancabili zucche forniti dal birrificio di Amsterdam.

Da li è stata tutta discesa: i centri commerciali hanno trovato un nuovo tema da inserire tra la “festa di autunno” e il natale (Immagino che dal 2 novembre scompariranno le zucche e appariranno le renne) con intere aree dedicate ai costumi, proprio come a carnevale. Dopo i centri commerciali sono stati contagiati anche i piccoli negozi – quelli “tradizionali” e opposti alla “malvagia grande distribuzione”.

E quindi oggi, nell’Italia del 2016 i bambini “normali” escono, travestiti da streghe o vampiri, accompagnati dai genitori qualche volta travestiti anch’essi, per suonare alle porte dei vicini chiedendo “dolcetto o scherzetto”: curioso come non più di 20 anni fa io fossi quello strano perché dicevo “hey è il 31 Ottobre: Facciamo qualcosa per Halloween!”.

Questo è male? Questo articolo vuole essere una caustica critica alla società del consumo che sacrifica le nostre “tradizioni” per vendere qualche litro di sangue finto? Assolutamente no: sono molto felice che questo paese abbia un altra scusa per festeggiare, e infatti anche io questa sera uscirò in maschera per andare a ballare ad una festa di Halloween.

Questo post vuole solo porre l’accento su come le cose cambiano rapidamente nella società globale e come sia possibile importare una nuova tradizione nella nostra cultura.

Ora mi dirai: si ma noi importiamo solo tradizioni degli Stati Uniti. Certo, ed è perfettamente normale. Gli Stati Uniti sono in questo momento storico (dalla fine della seconda guerra mondiale direi) il faro culturale dell’italia e dell’europa: se pensiamo alla quantità di film, libri, serie televisive e musica che provengono da quel paese è facile capire come Halloween abbia attecchito nel giro di pochi anni mentre, che so, nessuna persona “normale” si sognerebbe di festeggiare Hanami in primavera: il Giappone è infatti molto meno culturalmente rilevante degli Stati Uniti per noi.

Immagino però che in uno scenario di fantastoria dove il Giappone avesse sconfitto gli Stati Uniti, sarebbe probabile che al posto delle storie di Snoopy avremmo letto dei manga dove al posto di Halloween sarebbe stato descritto il festeggiamento di Hanami e quindi al posto di travestirci il 31 ottobre, avremmo aspettato la primavera per andare a fare un pic-nic contemplando il Sakura.

Come ho scritto in questo post io festeggiavo Halloween nella mia adolescenza, quindi se qualcuno come me non vuole attendere i prossimi 5 anni (tempo stimato comparando la diffusione del Sushi rispetto al Cheesburger) per assistere ad una colonizzazione culturale da parte dell’oriente, possiamo vederci questa primavera per mangiare qualcosa sotto il grande ciliegio nel parco a pochi passi da casa mia.

Questo articolo è un report aggiornato e corretto di quello che scrivevo 6 anni fa. Su questo tema non ho ancora cambiato idea.

Nieuport 11.C1

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Torniamo a parlare di aerei “nemici”, o in questo caso di un aereo francese utilizzato anche dagli italiani: il Neuport 11.C1.

La Nieuport è una azienda francese produttrice di aerei nata nel 1909 per sperimentare nella costruzione di aerei arriva dopo varie vicessitudini ad un primo successo con il Neuport 10, un biplano vincitore dell’ultimo Gordon Bennett Trophy prima dell’inizio delle ostilità. La guerra naturalmente ha spinto la Neuport allo sviluppo di una variante bellica del suo aereo facendola diventare un biposto da osservazione attivo fin dal ’15. Con la militarizzazione dell’aria e l’introduzione dei Fokker alcuni Neuport 10 vennero riconvertiti in caccia, ma la dimensione di questo osservatore non li rendeva ottimali per il compito.

Per questo venne sviluppato il Nieuport 11 “bebè”, una versione monoposto più piccola con mitragliatrice montata sulla ala superiore. Questo aereo ebbe un ruolo centrale nel pareggiare i conti rispetto al vantaggio iniziale dei Fokker tedeschi. Questo aereo fu prodotto in licenza dalla italiana Macchi, e in Russia. L’aereo fu anche impiegato dalle forze armate inglesi.

L’armamento di questo biplano poteva variare dalla singola mitragliatrice Vickers, alle doppie mitragliatrici Lewis. Questo aereo fu tra quelli che impiegavano i razzi di cui parlavo settimana scorsa per bersagliare i palloni di osservazione.

Nella foto qua sopra potete vedere il Nieuport 11 nella livrea dell’asso italiano Alvaro “fortunello” Leonardi

My Summer Car: Cose che Succedono

A corollario della piccola recensione di ieri ecco un paio di cose che mi sono capitate.

Il motore funziona alla perfezione, ma non avevo montato l’impianto di raffreddamento quindi dopo un paio di accelerate…
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…il motore ha preso fuoco distruggendosi.

Una volta completato correttamente il montaggio dell’impianto di raffreddamento naturalmente occorre anche avere olio nel motore, liquido nel circuito dei freni, e liquido nel circuito della frizione, altrimenti non entrano le marce.

Una volta fatto tutto ciò finalmente la macchina, in qualche modo si muove.

Mi lancio (per modo di dire) ad una modesta velocità di 40km/h lungo le strada sterrata che porta al paese quando ad un certo punto. Bang! il motore comincia a girare a vuoto.

Lascio la macchina al bordo della strada e torno sui miei passi dove trovo…
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…nulla di particolarmente importante, solo gli ingranaggi del cambio, che non erano probabilmente stati correttamente avvitati.

My Summer Car è un gioco fantastico.

My Summer Car: Prime Impressioni

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My Summer Car è un videogioco molto particolare: possiamo definirlo un simulatore di meccanico d’auto, di guida, e di vita di un giovane in una parte desolata della Finlandia degli anni ’90. Il tutto hardcore e con permadeath.

In My Summer Car iniziamo nella nostra tipica casetta rurale con la nostra camera, la cucina, il salotto, l’immancabile sauna, e nel giardino un garage e i rottami di una automobile sparpagliati. I rottami della automobile ad un esame più attento si rivelano essere tutti i pezzi necessari per assembrale completamente un intero motore e montarli sulla scocca dell’auto nella quale dovranno anche essere aggiunte sospensioni, freni, sedili, portiere, leva del cambio e tutto il resto.

Prima di concentrarci sullo scopo del gioco però ci rendiamo subito conto che in casa c’è poco cibo e una sola cassa di birra (argh), e dando un occhio alla cartina vediamo che il paese più vicino è a circa 2 km. Qui cominciano ad emergere gli elementi hardcore del gioco: il personaggio non corre, può solo muoversi lentamente camminando. Quindi possiamo vedere che nel vialetto c’è anche un furgoncino e una volta al posto di guida con qualche tentativo possiamo anche riuscire ad accenderlo. Ora possiamo guidarlo sulle tortuose stradine di campagna, tutte rigorosamente ad una corsia, e con auto che arrivano all’improvviso nella direzione opposta a tutta velocità. Se ci schiantiamo con sufficiente violenza, anche solo conto un albero, game over. Quindi anche muoverci con il furgoncino richiede un po’ di tempo dato che non è consigliabile andare a tutta velocità.

Una volta arrivati al paesello possiamo prendere un bel po’ di cibo (non è il caso di fare più giri) e un bel po’ di casse di birra, e già che ci siamo una cinghia, dell’olio, e del liquido dei freni.

Quindi una volta tornati a casa possiamo metterci ad assembrale l’auto, magari partendo dal motore. Assembrare l’auto è un complesso puzzle: non ci sono istruzioni di alcuna sorta all’interno del gioco, e non c’è alcun meccanismo che ci permetta di evitare ad esempio di dimenticarci i pistoni o altro. Non è finita qui: tutti i pezzi del motore sono da imbullonare, ma a differenza di altri giochi qua abbiamo una cassetta di attrezzi con chiavi di più dimensioni e dovremo scegliere sempre quella giusta (a tentativi il più delle volte). Una volta assemblato il motore possiamo concentrarci sul corpo della macchina, sollevandolo con il crick: anche qua i pezzi son parecchi. a questo punto possiamo calare il motore nel vano usando un piccolo argano. Collegato motore, elettronica, e simili possiamo mettere un po’ di benzina nel serbatoio e se abbiamo fatto tutto correttamente il motore con qualche tentativo si accenderà. Naturalmente qua è ancora solo l’inizio dato che non è detto senza liquido della frizione le marce non entrano, senza liquido dei freni le ruote non frenano, e lo sterzo va calibrato altrimenti la macchina tira a destra o a sinistra.

Io più o meno sono arrivato a questo punto, con una macchina che si accende ma ancora non si muove: una volta che l’auto si muove si può cominciare a pensare ad elaborarla partendo dalla regolazione del carburatore, fino naturalmente a tutte le possibili tamarrate estetiche, e all’autoradio potente.

My Summer Car non è certamente un gioco per tutti: è volutamente difficile e infuriante, la notte è scura, il modello di guida punitivo, le zanzare fastidiose… ma c’è un certo aspetto gratificante nel rimettere in senso un catorcio, e nell’andare in giro per questa terra abitata da bifolchi bevendo birra e insultando il prossimo. Poi c’è un tasto per fare il dito medio.

Cosa Non Mi Convince de I Medici

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Son molto contento che la Rai sia tornata a fare delle serie con un buon cast internazionale, e che possano avere anche un buon mercato. Penso sia la produzione televisiva, soprattutto dei serial, debba comunque essere centrale per ogni televisione, e che quindi non ci si può sedere su quiz, talent, reality, e talk.

Considero quindi I Medici un buon lavoro da parte della Rai. Talmente buono che non voglio compararlo alle decine di “fiction” prodotte per il mercato nazionale, ma voglio paragonarla alle grosse serie internazionali, in particolare inglesi e americane.

E sul paragone con le serie americane però qualcosa non funzione: strano, gli attori son quelli, il regista è quello, gli sceneggiatori son quelli. Dovrebbe funzionare alla grande. Eppure qualcosa stride.

Certamente c’è il doppiaggio, che è necessario quando in una serie con cast internazionale, e che come per i film di Sergio Leone penso coinvolga noi molto meno di quanto coinvolga gli spettatori di lingua inglese. Ma c’è qualcosa d’altro: qualcosa che centra con il numero di stacchi di tagli di montaggio, tantissimi, e non necessariamente “Mad max: fury road” tantissimi; Più un Teniamo le scene corte, una battuta per scena e buona la prima, anche se gli attori son completamente ingessati, tantissimi.

Quella è la differenza che ci vedo, qualcosa nella produzione: probabilmente una idea più contratta di come realizzare determinate scene che immediatamente le rende più simili a quelle delle soap (girate sempre con tempi contingentati) rispetto a quelle di una serie ad alto budget, nonostante la qualità degli attori, registi e sceneggiatori.

Quindi c’è ancora qualcosa che non mi prende in pieno in questa serie, ma son comunque contento che Rai abbia provato questa strada.