La fine di Flash è in vista

Questo è un giorno che non solo 10 anni fa sarebbe sembrato ridicolo, eppure è dall’introduzione del primo iPhone nel 2007 che è stato da subito chiaro che Flash non sarebbe potuto durare in eterno. E così è stato.

Adobe ha annunciato che supporterà il plugin flash per il browser fino al termine del 2020 e ha invitato tutti quelli che ancora stanno utilizzando questa tecnologia a migrare verso i formati aperti entro tale data.

Flash è stato per anni uno dei cardini del web, in particolare per quanto riguarda i videogiochi giocabili via web, ma l’ascesa degli smartphone e dei tablet poi ha segmentato il mercato in modo che non potesse più dipendere da un singolo formato ed un singolo lettore: il fatto stesso che flash non funzionasse sui telefonini e sui tablet ha contribuito non poco a sviluppare le app e il relativo mercato. Inizialmente iPhone non aveva applicazioni installabili (era comunque possibile crackare il sistema e installare dei port, ma non c’era alcun supporto da parte di Apple) e la prima versione delle applicazioni presentata da apple doveva essere fatta da web app. Apple probabilmente ha progettato fin dall’inizio l’iPhone per avere applicazioni, ma ha deciso di sistemare il dispositivo e creare una iniziale base di utenti prima di lanciare l’appstore nel 2008.

Da li per flash è stata tutta discesa, e mano a mano anche i browser principali hanno cominciato a togliere il supporto via via che si sviluppava il cosiddetto HTML 5.

Con Flash se ne va una classe di programmatori che se non l’ha già fatto dovrà espandere le proprie capacità verso altre tecnologie. Questa è la natura del web: tutto è temporaneo e nessuna conoscenza specifica dura più di 10 anni, senza mutamenti.

Da oggi al 2020 dovremo cominciare a pensare a come mantenere tutto il patrimonio di videogiochi scritti in questo linguaggio, perché fino ad ora abbiamo un lettore standalone in grado di eseguire i file swf, ma domani con nuovi sistemi operati si porrà il problema della retrocompatibilità del lettore, che a sua volta potrà dover dipendere da alcuni codec audio/video che potrebbero essere considerati obsoleti. Ma son convinto che se siamo in grado di far girare i giochi per il Commodore 64, un modo lo si troverà anche per Flash.

Flesh ha più di 20 anni di storia alle spalle e probabilmente un giorno ne parlerò più diffusamente, tra qui e il 2020.

Parteciperò al Ludum Dare 39

Questo è uno di quei tipici post che scrivo per motivarmi.

Ho deciso – nonostante la mia poca esperienza con Unity – di partecipare al Ludum Dare 39, o almeno di provarci.

La sfida consiste nel creare un videogioco aderente al tema scelto dalla comunità in un weekend , ovvero da questo venerdì alle 3 di notte ora italiana, alle tre di Martedì.

Ludum Dare è una sfida di creazione di videogiochi. Si compete sostanzialmente per la gloria, e il premio è il gioco che si è riusciti a creare e la soddisfazione di averlo creato.

Il tempo estremamente limitato è quello che rende eccezionale questa competizione: uno dei grossi problemi nel game design è partire per la tangente e cercare di creare il più bel gioco di sempre, e questo risulta in molte idee abbozzate e abbandonate ma pochi progetti fatti e finiti. Dandosi uno stretto limite di tempo si è obbligati a tenere le aspettative basse e lavorare con la conclusione del progetto in mente: soprattutto si punta ad avere qualcosa di giocabile e rifinito (o diciamo almeno presentabile), per quanto piccolo.

Questa appunto è la prima volta che riesco a partecipare a questa competizione, e spero di riuscire a venire a capo di qualcosa.

Vi terrò informati del risultato.

La USS Gerald R. Ford entra in servizio

Sabato scorso 22 Luglio è entrata in servizio la portaerei nucleare Gerald R. Ford, la 78esima portaerei nella storia della marina Statunitense e prima della nuova generazione.

Questa superportaerei nucleare ha sostituito l’Enterprise ritirata lo scorso febbraio riportando ad 11 il numero totale di portaerei in servizio.

Le portaerei americane attualmente in servizio son tutte di classe Nimiz, ovvero navi degli anni ’70 costruite fino al 2009. Questa nova classe non propone in realtà un cambio radicale rispetto al concetto della Nimiz: è certamente più moderna, più razionale – in particolare la catapulta elettromagnetica al posto di quelle a vapore – ma non è un balzo in avanti rispetto alla classe precedente, quindi è lecito chiedersi se sia adatta alla guerra contemporanea.

La situazione operativa dagli anni ’70 è cambiata radicalmente, sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista del tipo di missione, sia soprattutto dal punto di vista delle tecnologie.

Son le tecnologie il motore che ha modificato la guerra sui mari: prima arrivò il vapore che sostituì gradualmente le vele, in particolare a partire dalla guerra di secessione con i blockade runner confederati così veloci da sfuggire alle navi unioniste. Sempre nella guerra di secessione comparvero le ironclad ovvero le prime navi con scafo in metallo. Comparvero anche le prime torrette girevoli e i primi esperimenti di sommergibile (per il momento a pedali).

In quel periodo la guerra era combattuta ancora con bordate, ed era il numero di cannoni per ogni singolo bordo a far la differenza. Con l’inspessirsi delle corazze furono necessari cannoni sempre più grandi.

Anche i siluri comparvero durante la guerra di secessione, ma la loro forma moderna è del 1866 e si diffusero a partire dal 1870: furono cruciali nella guerra Russo – Giapponese, e letali soprattutto di notte quando l’oscurità permette di avvicinarsi alle grosse navi. Si è passati in meno di 30 anni dai velieri alle grandi navi con cannoni, e le piccole torpediniere con i siluri.

Ma nel 1906 fa la comparsa una nave che rivoluzionerà la marina: la Dreadnought veloce grazie alle turbine a vapore, e in grado di trasportare enormi cannoni per cominciare ad attaccare ancora da più lontano, in modo da poter essere al sicuro dalla minaccia dei siluri contrastando le torpediniere.

Da qui il carbone verrà gradualmente rimpiazzato dal petrolio e cominciarono a svilupparsi le moderne navi da battaglia corazzate che arriveranno alla prima guerra mondiale, e con loro si svilupperanno anche i sommergibili, in grado di attaccare senza essere visti il naviglio mercantile. La battaglia dello Jutland fu il culmine dell’era delle corazzate, a soli 10 anni dalla prima Dreadnought.

Durante l’interguerra continuarono a svilupparsi i sottomarini, e si progettarono corazzate sempre più grandi, fino alle enormi Bismark e Yamato, ma – anche grazie ai trattati di non disarmo che impedivano la costruzione di enormi navi – si creò lo spazio per una nuovo tipo di nave: la portaerei. La neonata aviazione si era sviluppata rapidamente durante la prima guerra mondiale, e l’impiego in mare con ruoli di attacco fu chiaro quasi fin da subito.

E furono proprio gli aerei a mettere fuori combattimento la Bismark nel 1941. La guerra navale era cambiata di nuovo, e a 25 anni dallo Jutland le navi da battaglia lasciarono il posto alle portaerei.

La guerra fredda vede lo sviluppo dei jet nella prima parte, e dei reattori nucleari e i missili cruise nella seconda: non ci sono battaglie eclatanti come quelle delle guerre mondiali e nessuna superportaerei è mai stata affondata e questo può dare un certo senso di sicurezza che si possa essere arrivati alla nave definitiva.

La portaerei ha un innegabile valore di “proiezione di forza” e il solo spostarla in un mare può essere una sufficiente forza diplomatica per ottenere il proprio obiettivo. Detto questo le portaerei sono vulnerabili ai missili a lungo raggio lanciati da terra: di fatti in un eventuale reale impiego operativo contro un nemico simmetrico (ovvero non terroristi, ribelli e cose simili, ma uno stato moderno e organizzato) metterebbe la portaerei a tiro delle batterie costiere prima ancora che le stesse possano essere a tiro degli aerei.

Come abbiamo visto la storia della marina ci insegna che nessun avanzamento tecnologico dalla rivoluzione industriale a oggi è durato più di 30 anni, quindi son portato a pensare che questa costosissima nave sia nata già obsoleta.

La Dissonanza Ludonarrativa

La storia non è un elemento fondamentale di un videogioco, ma determinati generi di videogioco hanno per forza bisogno di una storia in particolare gli RPG.

I giochi di ruolo hanno molto spesso una caratteristica di mondo aperto, o se non altro permettono una certa libertà nella scelta delle missioni. Solitamente avremo una missione principale e tante missioni secondarie.

A questo punto è molto probabile che si crei una dissonanza tra la storia e il gioco: la missione principale infatti verrà impostata come vitale e urgente, mentre il nostro personaggio potrebbe ritrovarsi senza alcun motivo reale a riportare dei libri in una biblioteca, o ad aiutare una vecchietta a trovare un tegame.

Non solo: in alcuni casi la separazione tra storia e meccaniche di gioco è ancora più evidente. In Fallout 4 abbiamo come di consueto la nostra importantissima e urgentissima missione, ma il gioco ci da la possibilità (e ci esorta) di perdere molto tempo per costruire la nostra casa, una attività collaterale che non ha alcun valore rispetto alla quest principale.

Questo tipo di dissonanza è ancora più amplificato dal fatto che oggi i giocatori danno valore alla lunghezza di un gioco e che appunto la lunghezza spesso è esattamente il contrario all’idea di urgenza che la campagna principale cerca di comunicare.

Idealmente la storia dovrebbe sposarsi con le meccaniche del gioco: nel primo Fallout ad esempio il senso di urgenza era comunicato dando un tempo limite alla missione principale, ma questo rendeva il gioco più difficile dato che rendeva impossibile fare grind fino ad arrivare ad un livello tale in cui il gioco diventava semplice.

A mio parere però in un videogioco la storia non deve arrivare a limitare le meccaniche di un gioco e penso che siano proprio le meccaniche a dover primeggiare: ovvero non penso che i videogiochi possano essere considerati come film o libri dove la storia è più importante della bravura del regista o dello scrittore. Certamente alcuni giochi come appunto i sopracitati RPG hanno bisogno di una maggiore attenzione alla storia, ma anche in questo caso si può tranquillamente creare una dissonanza tra storia e meccaniche senza compromettere il valore dell’opera: penso che nei videogiochi si possano fare parecchi compromessi sulla narrativa.