L’implacabile

Televisione, violenza, e menzogne. Questo è il tema centrale de L’implacabile (The Running Man).

Tratto dal libro di  Stephen “Bachman” King con alcune sostanziali modifiche. Nel libro il protagonista non è un carcerato ma un volontario, e non fugge in una sorta di zona di gioco, ma può andare in tutto il mondo e non è tracciato (ma deve comunicare periodicamente con la rete). Anche tutta la sottotrama della Resistenza che cerca di impossessarsi dei satelliti per rivelare al mondo la verità è un elemento aggiunto nel film.

Questa storia probabilmente non è propriamente cyberpunk, ma più che altro un semplice futuro prossimo distopico. Qui non abbiamo le megacorporazioni, ma un governo distopico che tiene buona la popolazione con dei giochi simili ai gladiatori, infarciti però di menzogne e propaganda.

Tutto l’aspetto dello show televisivo però funzionerebbe allo stesso modo anche in un contesto di mercato, in particolare l’ossessione al numero di spettatori.

I cacciatori son simili ai wrestler (e sono anche interpretati da wrestler) colorati e chiassosi.

Il film figlio degli anni ’80 e interpretato da Schwarzenegger è una collezione infinita di “one liner”, pure troppi in realtà. L’effetto da show televisivo è garantito da Richard Dawson, che oltre ad essere un attore ha anche condotto degli show televisivi.

Il film mostra come i video vengono manipolati per distorcere la realtà, in particolare anche arrivando a sostituire digitalmente una faccia con l’altra. Per gli anni ’80 questa era fantascienza, ma oggi con i deepfake la nostra realtà ha già superato la fantasia cinematografica.

Una ultima nota: in questo film oltre a Schwarzenegger abbiamo Jesse Ventura nel ruolo di Capitan Freedom. Ventura come Schwarzenegger ha avuto una carriera politica, ed è arrivato ad essere Governatore del Minnesota dal 1999 al 2003.

Johnny Mnemonic

Quello di questa sera è un film del 1995 che parla di come nel 2021 verrà rivelata la cura ad una pandemia globale causata dal 5G.

A parte gli scherzi Johnny Mnemonic è un altro film perfetto per illustrare l’estetica Cyberpunk, ed il protagonista è Keanu Reeves 3 anni prima di Matrix, quindi è il film perfetto per prepararci a Cyberpunk 2077.

Johnny Mnemonic è ispirato molto alla lontana da un altro racconto breve di Gibson, contenuto in “La notte che brucciammo Chrome”, la stessa raccolta di New Rose Hotel.

A differenza di New Rose Hotel questo film inventa totalmente l’idea di una malattia globale che è parte principale della trama. Allo stesso tempo però conserva molti elementi del racconto originale, compreso il delfino spaccacodici, e i Lo Tek.

Tra gli altri elementi modificati della storia abbiamo il ponte adattato come città dei reietti della società. Questo elemento è tratto da un altro racconto di Gibson: “Skinner’s Room” (in italiano La Stanza di Skinner, pubblicato nella raccolta Cuori Elettrici) ed è presente anche nella cosiddetta “trilogia del ponte” (trilogia conclusa anni dopo che questo film è andato nelle sale).

Un esempio perfetto di Cyberpunk insomma: megacorporazioni, la Yakuza oramai talmente normalizzata da essere una sorta di azienda privata di sicurezza, lo sprawl senza legge dove tutto è concesso, il cyberspazio virtuale al quale si accede con l’EyePhone…

E ancora lo scontro tra l’alta società di Johnny e gli squallidi abitanti dello sprawl composti da mercenari che vivono alla giornata cercando lavoro nei bar, ed idealistici Lo Tek che cercano di cambiare il mondo manipolando l’informazione dall’esterno.

Un sacco di elementi che certamente torneranno in qualunque storia propriamente cyberpunk.

Ghost in the Shell (1995)

Non si può fare una rassegna di film cyberpunk senza includere almeno un titolo di animazione giapponese. La scelta è caduta su Ghost in the Shell.

Con questo film voglio concentrarmi sull’estetica visuale, sui colori, e sui neon. Per questa ragione ho scelto la versione originale del 1995 e non la versione 2.0 dove i colori sono virati verso il giallo – arancione al posto che verso l’azzurro – verde.

Insieme a Blade Runner penso che questo sia il film che più abbia influenzato l’estetica di quello che oggi classifichiamo generalmente come cyberpunk, e anche di quella che sarà l’estetica di Cyberpunk 2077. I colori azzurro verdi dei neon e degli schermi dei computer a fosfori sono quelli che diventeranno iconici (al punto dal diventare quasi stucchevoli) con la trilogia di Matrix.

Nelle immagini è mostrata una enorme megalopoli futuristica ma decadente, ispirata più a Hong Kong che a Tokyo. La scena dell’aereo che sorvola la città, e molte scene dei canali sono tipiche di quella che era l’Hong Kong degli anni ’80 – ’90 (l’aereoporto di Kai Tak con il suo complesso avvicinamento che portava i Jumbo a sfiorare i palazzi chiuse appunto nel 98).

Molte delle armi sono reali o realistiche, e poche veramente eccessive (beh a parte il cannone portatile). Nessun laser, un sacco di mimetiche termo ottiche ed innesti cibernetici in praticamente qualunque persona.

Rispetto alle storie che abbiamo visto fin ora per la prima volta non abbiamo a che fare con le megacorporazioni, ma con i governi. Più esattamente abbiamo a che fare con due dipartimenti di sicurezza e spionaggio dipendenti uno dal ministero degli interni e uno dal ministero degli esteri.

A parte un livello di burocrazia molto più elevato e l’assenza della spregiudicatezza e degli eccessi delle megacorporazioni ispirate alle aziende rampanti degli anni ’80 americani il risultato del sostituire con le aziende con i reparti di un governo porta allo stesso risultato: azioni indiscriminate, segreti, e lotta di potere senza regole.

hackersGhost in the Shell è principalmente un film sul senso della vita, su cosa sia l’anima (il ghost, o spirito) e se le macchine possano essere o meno senzienti. Nel film (a seconda della traduzione) abbiamo diversi monologhi filosofeggianti che contengono anche una citazione dalla lettera ai Corinzi (11 – 13) che tra l’altro per qualche ragione è citata anche nel film Hakers dello stesso anno, e che pur essendo ambientato negli anni ’90 potrebbe entrare nella rassegna di film cyberpunk anche solo per l’estetica.

Ed è appunto solo l’aspetto estetico che voglio tenere in questo momento da questo meraviglioso film di animazione: perché nel mondo cyberpunk l’estetica è tutto.

Robocop (1987)

Nella attesa precedente al rinvio di Cyberpunk 2077 avevo visto il remake di robocop e l’avevo una gradevole sorpresa. Oggi son tornato all’originale.

Robocop più che un reale film cyberpunk è la visione esagerata e caricaturale che Verhoeven dava degli Stati Uniti di fine anni ’80.

Ma il Cyberpunk alla fine è proprio questo: una versione caricaturale della contemporaneità in cui alcuni eccessi sono portati all’estremo.

Anche in Robocop il ruolo centrale lo ricopre una megacorporazione, la OCP.

La OCP vende qualunque cosa: dalle case alle cure mediche, dall’esercito alla polizia.

Se in New Rose Hotel avevamo visto una guerra tra corporazioni in Robocop vediamo una guerra all’interno di una corporazione. Una guerra tra manager spregiudicati e disposti a tutto per guadagnare status all’interno dell’azienda.

L’antagonista del film è un vicepresidente dell’OCP che punta alla sedia di presidente, e che vuole spingere a tutti i costi un prodotto scadente: l’ED 209 anche entrando in contrasto diretto con il progetto concorrente Robocop. Per fare questo utilizzerà tutti i mezzi leciti e illeciti arrivando ad assoldare una banda di criminali per eliminare la concorrenza all’interno dell’azienda.

Robocop è un ottimo spaccato della vita all’interno delle corporazioni, e di come queste siano legate sia alla criminalità che alla polizia.

L’estetica di Robocop non è particolarmente distante da quella contemporanea alla sua uscita, e a parte un po’ di gadget tecnologici e naturalmente i robottoni, non abbiamo nulla di particolarmente fantascientifico.

Per il resto Robocop ci fornisce qualche ulteriore spunto: a partire dal ruolo dei poliziotti che devono girare corazzati in una società ultraviolenta, alla TV che mostra una continua sequenza di notizie drammatie e pubblicità miste a show di intrattenimento al livello di I’d buy that for a dollar.

Ma è proprio la visione della megacorporazione che diventa il vero organo di governo e controllo del mondo cyberpunk l’elemento che più mi interessa.

New Rose Hotel

New Rose Hotel è certamente il peggior film tra quelli che ho scelto per la rassegna di cinema Cyberpunk.

Il bugget limitatissimo e il materiale su cui è basato – un racconto di 12 pagine – sono due chiari segni di quanto questo film avrà difficoltà a riempire il tempo di un lungometraggio.

I primi 70 minuti sono la storia, raccontata in modo molto lento e senza mostrare neppure per sbaglio una scena d’azione, anche se ce ne sarebbero state almeno tre possibili.

Gli ultimi 20 minuti saltateli direttamente: è una sorta di cortometraggio che racconta nuovamente tutto il film che avete appena visto, attraverso dei flashback.

Ma allora perché ho incluso questo film nella lista? Due ragioni fondamentalmente

La prima è che si tratta probabilmente della resa cinematografica più fedele di un racconto di William Gibson, appunto l’omonimo New Rose Hotel che potete trovare nella raccolta “La notte che bruciammo Chrome”.

La seconda e più importante è che questo film è un esempio di come il Cyberpunk non debba per forza essere elettronica, cybernetica, e luci al neon.

Possono bastare alcuni elementi: nel caso di New Rose Hotel vediamo un mondo dove gli scienziati sono contesi tra le multinazionali, e gli headhunter ricorrono a tutti i mezzi leciti e illeciti per strappare un talento da una azienda concorrente.

Le multinazionali spregiudicate, il mondo globalizzato abitato da persone senza patria, condita con l’estetica giapponese sono alla base dei racconti di Gibson, che sono probabilmente ispirati da vicino dal suo vivere in giappone negli anni ’80.

Quindi il cyberpunk non è solo tecnologia, e non è solo estetica: è alla base un mercato senza regole e senza morale.

Questo elemento che avevamo già visto in Nirvana ci accompagnerà in molti dei prossimi 8 film.