Ieri dicevamo come sia facile incappare nelle bufale su internet, e come oramai i giornali non siano più una fonte necessariamente autorevole di notizie.
La fine della carta stampata è una questione dibattuta da almeno 15 anni, ma penso che finalmente siamo arrivati a vedere le conseguenze: un giornale cartaceo sta in piedi principalmente su due pilastri: le copie vendute e la pubblicità. La pubblicità è in realtà in particolare è da dove vengono i soldi, naturalmente sempre in maniera commisurata alle copie circolanti e alle demografiche dei lettori.
I media tradizionali hanno sempre avuto un rapporto esclusivo con la pubblicità, dovuto alla scarsità: ci sono pochi quotidiani in grado di coprire una intera nazione, e anche il mercato della cronaca locale è autolimitante dato che il costo per aprire creare un quotidiano cartaceo, stamparlo, e distribuirlo non è esattamente irrisorio, come ben sanno tutti quelli che nella loro vita hanno avuto a che fare in qualche modo con un qualunque esperimento di stampa alternativa, fosse anche il giornalino parrocchiale.
Da quando Internet ha cominciato ad imporsi sono successe due cose: per prima cosa chiunque può con una cifra irrisoria, quando non gratuitamente, aprire un sito o uno spazio su internet e pubblicarci quello che vuole, rendendolo potenzialmente disponibile a tutte le persone con accesso internet. Sembra un concetto banale, ma prova a raffrontarlo con una radio, una tv, o un giornale cartaceo: per questi mezzi tradizionali il solo avere acceso potenziale verso un ampio numero di persone è un costo, e quindi un limite alla concorrenza; l’articolo che stai leggendo, come un qualunque messaggio che lasci su Twitter può essere potenzialmente visto da chiunque nel mondo, quindi la concorrenza è automaticamente elevata all’infinito.
Quando i giornali hanno perso la loro posizione di gate keeper dell’informazione è normale che la pubblicità abbia cominciato gradualmente a spostarsi sui nuovi media: la pubblicità online può essere molto più precisa, ed estremamente più personalizzata rispetto a quella che si stampa in massa sulla carta. Certo la pubblicità online può anche essere il più delle volte evitata, mentre quella cartacea al massimo la si può ignorare.
Con la riduzione degli introiti pubblicitari, e la riduzione delle copie circolanti anche i giornali hanno dovuto spostarsi su internet, e oramai non penso esista un quotidiano che non tratti la redazione online in modo centrale al suo business. Una redazione di un quotidiano online però non funziona con le logiche di una redazione tradizionale, ovvero una che deve riempire un giornale di notizie del giorno prima, ma deve riempire uno spazio potenzialmente infinito di notizie in tempo reale: la velocità è cruciale, ed è cruciale anche mantenere l’attenzione dei lettori.
Mantenere l’attenzione dei lettori è molto difficile se questi lettori sono su internet per svagarsi, ed è per questo che ogni testata online è pieno di notizie di gossip, gattini, e donne seminude. Ma quello è solo uno degli aspetti: se il gossip fosse marginale e limitato ad una parte per raccogliere click e vendere pubblicità il tutto andrebbe bene, ma purtroppo la stessa logica si applica alle notizie “serie” e – soprattutto nella politica – il tutto tende ad assumere connotati sportivi con notizie esagerate, e inutile gossip del politico che dice questo per rispondere all’altro politico che dice quest’altro.
In questa situazione quindi abbiamo budget e tempo ridotti, attenzione ridotta, e in generale la paura che può avere un editore che sta vedendo il suo mondo finire e non ha ancora capito come riciclarsi nel nuovo corso: quindi è chiaro che il anche i giornali si trovano a pubblicare enormi bufale, ad accontentarsi di visioni parziali, a riempire le pagine di comunicati stampa a malapena riscritti, a non mandare in giro cronisti ma ad affidarsi a quando letto in rete, a ripubblicare le agenzie di stampa senza approfondire le notizie, a creare gallerie di foto di stock.
E purtroppo in questo momento non c’è un sostituto affidabile alla stampa tradizionale: per informarci siamo costretti a navigare a vista e a fare il lavoro dei giornalisti nello stabilire quanto sia vero, quanto sia falso, e quanto sia esagerato: dobbiamo cercare noi stessi le due facce della medaglia. Questo anche perché non diamo valore all’informazione: ci aspettiamo che le informazioni siano gratuite, supportate dalla pubblicità per prodotti che non compriamo; ci aspettiamo anche che lo stato non finanzi la stampa con i soldi delle tasse perché non la riteniamo di interesse pubblico.
E alla fine ci va bene così, fino a quando l’opinione pubblica sarà completamente convinta delle clamorose balle che chiunque – me compreso – può pubblicare sulla rete.