Il terzo film nella mia rassegna in preparazione agli oscar 2021 è Nomadland.
Nomadland segue il primo anno di vita come nomade di Fern, interpretata da Frances McDormand.
Fern proviene da Empire, una città mineraria in Nevada che si è svuotata in seguito alla chiusura della miniera durante la recessione del 2008.
Dopo la morte del marito e la perdita del lavoro e della casa Fern comincia a vivere in un vecchio furgone, e non trovando lavoro a Empire comincia a spostarsi attraverso il sud ovest degli Stati Uniti passando da un lavoro all’altro.
Dal lavoro in un centro di smistamento Amazon attorno a Natale, a quello di tuttofare in un campeggio in estate nelle badlands Fern conosce altri nomadi in una condizione simile alla sua e impara a vivere sulla strada adattando il suo furgone.
Le persone che incontra Fern – interpretate prevalentemente da veri nomadi – sono principalmente bianchi anziani o prossimi alla pensione. Tutti hanno alle spalle storie simili a quella della protagonista.
Il film non ha colpi di scena, momenti particolarmente drammatici, o momenti di rivalsa. Le vite dei nomadi non son particolarmente romanticizzare, e non son mostrati come eroi alternativi.
Il giudizio sulla società americana da parte dei nomadi è quello di essere “una nave che affonda” dove i nomadi son quelli “sulle scialuppe di salvataggio”; un giudizio che mi ha ricordato quello del protagonista di Mosquito Coast, dove però il protagonista proveniva dalla classe media.
Il tema al centro del film non è però quello della vita nomade ma quello dell’affrontare una perdita. Perdita intesa sia come il lutto sia come la perdita di occasioni per vivere una vita piena, dove la realizzazione non è nel lavoro, nei soldi, o negli oggetti – che son scambiati tra i nomadi in base alla necessità – ma nell’esperienza delle bellezze naturali del mondo, perfettamente rappresentate negli scenari naturali degli Stati Uniti tra deserti, e foreste.
Dal punto di vista tecnico il montaggio tra una scena e l’altra è rapido, e qualche volta confuso. Molte scene sono altrettanto rapide e inserite solo con lo scopo di mostrare una esperienza di vita non direttamente collegata alla storia.
Il film inizia con una inquadratura centrale della protagonista che apre un box dove son contenuti tutti i suoi oggetti. Anche le scene dentro il magazzino di Amazon sono inquadrature centrali, così come altre scene tipo l’interno di una lavanderia a gettoni, e l’esterno dell’ufficio del primo “campeggio”.
Le inquadrature della natura invece spaziano partendo dai personaggi e allargandosi in una panoramica, tenendo il più delle volte i personaggi in un angolo.
Ritroviamo le inquadrature centrali nuovamente nella casa dove Fern alloggia per il giorno del ringraziamento.
Non voglio leggerci troppo ma penso che sia una scelta deliberata per accentuare il contrasto tra il mondo stanziale e quello nomade, mostrando il primo come opprimente, in combinazione anche ad un uso diverso dei colori tra queste scene: freddi nelle stanziali, caldi nella natura.
Nella casa dove Fern trascorre il ringraziamento abbiamo due scene abbastanza vicine dove la cena in comune è mostrata con colori caldi e inquadrature in movimento, mentre la mattina dopo dove Fern realizza di non poter vivere stanziale abbiamo nuovamente i colori freddi e le inquadrature centrali.
Il film non ha una musica di apertura, e il primo atto della storia non ha musica. Una scelta che probabilmente aiuta a dare un primo impatto con la vita nomade senza un commento, e dato che la musica serve anche a sottolineare i sentimenti del protagonista all’inizio della storia conosciamo Fern da fuori, e solo dopo ci avventuriamo nel commento dei suoi stati d’animo.
Nomadland è certamente un film da oscar: molto particolare e per certi versi unico. Una fotografia realistica della vita dei nomadi americani.