Due Mesi di No Man’s Sky

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Sono passati due mesi dal rilascio di No Man’s Sky per PC ma la vicenda non si è ancora risolta.

Per prima cosa diamo un’occhiata a qualche numero: ad oggi No Man’s Sky ha venduto su Steam circa 750 mila copie, ovvero circa le stesse che aveva venduto nella prima settimana. Il prezzo ad oggi è ancora 59,99 € e non mi sembra aver avuto sconti all’interno di Steam. La valutazione Steam è complessivamente 68% negativa su 72.000 recensioni, e 89% negativa sulle 6.000 recensioni degli ultimi 30 giorni: un disastro insomma. Solo il 10% degli acquirenti ha acceso il gioco nelle ultime 2 settimane, ovvero una percentuale comparabile a quella che Elite: Dangerous totalizza dopo un anno e mezzo.

L’ultimo aggiornamento per PC è datato 23 Settembre ed è la patch 1.09 che come le precedenti non altera il gameplay o aggiunge contenuti, ma corregge problemi. Il 23 settembre è anche l’ultima comunicazione di Hello Games su twitter, mentre Sean Murray latita dal 18 Agosto.

Qualcuno ha provato a fare un giro negli studi di Hello Games e li ha trovati abbastanza desolati (come si può vedere nella foto) quasi abbandonati. Due persone importanti del team di No Man’s Sky se ne sono andate: il Producer e uomo di riferimento verso Sony, e il comunity manager che ora lavora per Eurogamer. Oltre a questo uno dei principali programmatori è attualmente in un lungo tour di conferenze in giro per il globo.

Naturalmente in mancanza di comunicazioni ufficiali tutte queste piccole informazioni generano tante ipotesi nella base di acquirenti delusi, e in tutti quelli che pur non avendo comprato No Man’s Sky sperano che prima o poi venga rilasciato un gioco con quanto promesso in No Man’s Sky.

Quindi ricapitolando l’attenzione attorno ad Hello Games e No Man’s Sky non è cessata, e non sembra che il tempo stia guarendo il disappunto di tanti acquirenti.

Per concludere ecco una delle recensioni più accurate per questo gioco, rilasciata dopo 58 ore di gioco.

Le Liste

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Al momento ho 525 video da guardare più tardi su YouTube; attorno ad un migliaio di articoli da leggere su Instapaper; qualche decina di ebook e libri cartacei ancora da aprire, attorno ad un centinaio tra film, documentari, e serie TV su Netflix; 625 giochi su Steam, di cui 463 installati, quasi tutti mai completati, e buona parte proprio mai giocati. Poi ci sono i progetti: le centinaia di mezze idee da sviluppare, le ricette da provare, i posti da vedere, gli articoli da scrivere.

Sono bravissimo scrivere liste, ad organizzarle, gerarchizzarle, dividerle quando diventano troppo grosse. Sono anche bravo a popolarle queste liste avendo pen sistemato gli inbox: un lettore di RSS con al momento altri 365 articoli pronti per popolare instapaper o youtube; un centinaio di canali su youtube che mi notificano ogni volta che pubblicano qualcosa da vedere; Allflicks per essere aggiornato su ogni nuova uscita su Netflix; Vari siti di bundle per rimpolpare ulteriormente la mia libreria Steam con altri giochi che probabilmente non verranno giocati presto…

La verità è che se guardo lo stato attuale delle mie liste di cose da fare posso stimare di avere abbastanza materiale per occupare ogni mio momento libero per almeno 5 anni.

Ciò nonostante questo non mi impedisce di sprecare un sacco di tempo.

Le To Do List sono certamente un punto necessario per organizzare produttivamente il proprio tempo, ma le sole To Do List sono lettera morta se non vengono masi svuotate, ma solo riempite. Aggiungere elementi ad una lista da sicurezza, togliendo qualcosa dalla nostra vista solo temporaneamente e appagando la nostra paura di perderci qualcosa di importante (fear of missing out) che è un elemento costante nella nostra condizione di nuotatori nella sovrainformazione.

Al contrario però ogni volta che ci si mette di fronte ad una lista piena scatta automaticamente la paralisi decisionale (Analysis paralysis) perché ci troviamo di fronte a molti elementi e sentiamo il bisogno di effettuare una ulteriore cernita per trovare il migliore tra questi da fare in questo esatto momento libero.

E quindi scatta il bisogno di aggiungere un ulteriore strato di gerarchia: per tempo necessario, per tipo di attività, per priorità, per costo… Le opzioni per sovra analizzare sono letteralmente infinite. Anche l’analisi è un processo tranquillizzante: fino a quando si analizza non si sta sbagliando nulla. Il problema però è che si sta consumando tempo.

Il segreto è quindi semplice: smettere di analizzare e cominciare a fare. La sovra analisi è una perdita di tempo, mentre il provare qualcosa, accorgersi che non vale la pena, e passare ad altro non lo è.

Ed è questo l’unico modo che conosco per svuotare le liste.

Foto di Jacob Bøtter

Il Successo dei Chatter Bot

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Fin dalla sua presentazione Siri è una accattivante feature per uno smartphone, ma che al di la di una primo curioso utilizzo rimane rapidamente dimenticato. Allo stesso modo anche l’uso degli altri sistemi di controllo vocale come Cortana, Ok Google, o Amazon Echo stanno avendo un successo abbastanza limitato al di la del valore dei gadget curiosi.

L’univa vera applicazione per il controllo vocale è quando si hanno le mani occupate, ovvero ad esempio quando si sta guidando: in casa può avere un senso, ma quanti di noi parlano con il proprio televisore al posto di usare semplicemente il telecomando?

C’è un indubbio elemento di “stranezza” nell’usare la propria voce per comandare le macchine, e per quanto i film di fantascienza ci abbiano convinto di quanto questo dovrebbe essere il futuro ora che la tecnologia ci ha raggiunto (ovvero ora dagli anni ’90 con i sistemi di controllo vocale IBM) questa tecnologia viene sempre più spesso inclusa e sempre meno utilizzata.

Nel frattempo una buona fetta delle nostre relazioni interpersonali è stata delegata alla parola scritta (e alle emoji): una volta ci si telefonava, e lettere e cartoline venivano utilizzate molto di rado per comunicazioni poco urgenti, poi l’email hanno accelerato la velocità di comunicazione mantenendo comunque l’elemento di asincronismo, quindi gli SMS e per finire gli Instant Messenger su cellulare hanno completamente modificato il nostro modo di comunicare a distanza (spesso anche a distanza limitata).

Oramai è normale tenere aperte diverse discussioni testuali con i nostri amici singoli o in gruppo attraverso le applicazioni sul cellulare, ed è anche normale sentirsi di più per iscritto che via voce.

Quindi le tecnologie del controllo vocale ci permettono di parlare con le macchine, quando noi siamo abituati a scrivere agli umani. Per questa ragione il passo successivo è che le macchine comincino a comunicare con noi per iscritto.

Le interfacce grafiche sono considerate un balzo in avanti rispetto alla riga di comando perché sono più semplici da utilizzare, ma mente sono molto valide per fornirci informazioni non sono altrettanto efficaci quando si tratta di ricevere comandi. Una interfaccia a riga di comando è molto più espressiva di qualunque interfaccia grafica, ma il problema è che il linguaggio con la quale ci si interagisce è veramente poco naturale.

L’evoluzione sarà quindi un ritorno ad una riga di comando in grado di comprendere il nostro linguaggio naturale: non abbiamo bisogno di una intelligenza artificiale in grado di passare il test di Turing, e non abbiamo neanche bisogno di un Siri che risponda alle nostre domande sul senso della vita. Abbiamo invece bisogno di un sistema in grado di capire le nostri frasi scritte tipo “prenota un tavolo per due persone domani sera alle 21:00 una pizzeria vicino all’ufficio, e aggiungi un impegno di un’ora con l’indirizzo della pizzeria questo mio amico” e lasciare che il sistema si occupi da solo di tutto attraverso servizi come Open Table e Google Calendar.

Non siamo assolutamente distanti da questa realtà e già oggi tutti gli sviluppatori di Instant Messenger stanno lavorando per l’inclusione di queste interfacce: per ora i tentativi sperimentali non sono ancora arrivati ad un vero sistema condiviso, però è solo una questione di tempo.

Il futuro potrebbe essere una nuova riga di comando.

Albatros D.II

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Verso la fine di settembre 1916 sono stati consegnati al fronte i primi Albatros D.II. Questi aerei sono la seconda iterazione dell’Albatros D, ovvero il l’aereo che doveva andare oltre i limiti dell’Eindecker per rimanere un passo avanti agli anglofrancesi. L’Albatros D.I fu prodotto solo in 50 elementi e si dimostrò veloce e letale: rispetto all’eindecker l’armamento comprendeva 2 mitragliatrici, al posto di una, e una velocità massima di 170km/h contro i 140 dell’eindecker.

Furono prodotti quasi 300 D.II: questi aerei differivano dai D.I solo per la posizione dell’ala superiore che in questo caso veniva montata più in basso e più avanti per migliorare la visibilità dalla cabina. La visibilità su un biplano è naturalmente sempre più limitata di quella che si può avere su un monoplano come l’eindecker, ma i vantaggi delle due ali in termini di peso sollevato e velocità hanno compensato ampiamente questo problema.

Il motore di questo aereo era un Mercedes 6 cilindri in linea, in grado di sviluppare 120kW di potenza. Essendo un motore convenzionale aveva un carburatore, e quindi una manetta, che lo rende molto più gestibile rispetto al motore rotativo dell’eindecker. Naturalmente essendo un normale motore in linea ha bisogno anche di un impianto di raffreddamento a liquido provvisto di radiatori. Il disegno originale mutuato dal D.I prevedeva 2 radiatori sui fianchi dell’abitacolo: questo però causava problemi quando uno dei due radiatori viene colpito, dato che l’impianto è più in basso del motore il liquido di raffreddamento usciva dal radiatore bucato svuotando rapidamente l’impianto. Per questa ragione l’ispettorato dell’aviazione militare vietò questo tipo di radiatore e quindi l’impianto fu spostato al di sopra dell’ala superiore, ovvero sopra la testa del pilota. Anche questa configurazione aveva un problema: una volta colpita il liquido fuoriuscente poteva scottare il volto del pilota.

In Rise of Flight questo aereo è presentato con una configurazione alternativa, ovvero un cannoncino da 20mm posto sull’ala superiore al posto delle due mitragliatrici sulla fusoliera. Questa seconda configurazione è particolarmente efficace nell’attacco ai palloni di osservazione grazie all’utilizzo di munizioni incendiarie.

Guardando le differenze tra questo caccia e il suo predecessore della Fokker è subito evidente la rapidità con cui si passava dai prototipi ai prodotti durante gli anni del conflitto.

Westworld: Prime Impressioni

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Westworld è la nuova serie HBO tra le più attese di questa stagione.

Westworld è un remake di un film del ’73 scritto da Michael Crichton: in entrambe le storie l’ambientazione è un parco di divertimenti futuristico dove sono riprodotti enormi ambienti interattivi a tema storico, come appunto Westworld nel far west, e animati da robot umanoidi programmati per intrattenere il pubblico. I visitatori del parco possono interagire come preferiscono con l’ambiente circostante, e non solo vincolati da alcuna regola, sapendo che ogni abuso non sarà verso un uomo ma verso una macchina. Le macchine naturalmente sono programmate per non nuocere in nessun caso ai visitatori, ma naturalmente ad un certo punto prenderanno coscienza e si ribelleranno.

Se il tema ti ricorda Jurassic Park è perché l’autore (Crichton) ha riutilizzato alcuni elementi di questa sceneggiatura del ’73 per la stesura del suo più famoso romanzo, ambientato in un altro parco di divertimento fuori controllo.

La serie sotto la direzione di Jonahan Nolan (Person of Interest) è molto bel prodotta, con un cast di tutto rispetto (tra gli altri Ed Harris, Antony Hopkins), un buon comparto di effetti visivi ed una recitazione spettacolare dei personaggi robot.

Le tematiche sfiorate nel primo episodio sono parecchie: partiamo da un accenno alla uncanny valley nell’idea che i robot possano diventare troppo simili agli umani da rendere sgradevole per gli ospiti il loro abuso; ad un riferimento a come gli attori portano dentro tutti i loro personaggi, quando un robot impazzendo riscopre le memorie cancellate delle sue vecchie interpretazioni di Shakespeare.

Ma il tema fondamentale è quello del gioco e intelligentsia artificiale: i riferimenti ai giochi sandbox sono come prevedibile abbastanza evidenti, soprattutto come l’interazione dei “giocatori” che scombini i piani dello “sceneggiatore” che scrive i copioni per i robot: una situazione abbastanza comune per i Dungeon Master e per gli autori di videogiochi con un ampio grado di libertà.

Per ora la serie promette molto bene: l’unico mio dubbio è come possa esserci materiale per stirare una simile vicenda (che va benissimo per un film di 88 minuti) in una stagione di 10 episodi da 60 minuti, più eventuali stagioni successive: insomma, il rischio di salto dello squalo è altissimo.