Nella attesa precedente al rinvio di Cyberpunk 2077 avevo visto il remake di robocop e l’avevo una gradevole sorpresa. Oggi son tornato all’originale.
Robocop più che un reale film cyberpunk è la visione esagerata e caricaturale che Verhoeven dava degli Stati Uniti di fine anni ’80.
Ma il Cyberpunk alla fine è proprio questo: una versione caricaturale della contemporaneità in cui alcuni eccessi sono portati all’estremo.
Anche in Robocop il ruolo centrale lo ricopre una megacorporazione, la OCP.
La OCP vende qualunque cosa: dalle case alle cure mediche, dall’esercito alla polizia.
Se in New Rose Hotel avevamo visto una guerra tra corporazioni in Robocop vediamo una guerra all’interno di una corporazione. Una guerra tra manager spregiudicati e disposti a tutto per guadagnare status all’interno dell’azienda.
L’antagonista del film è un vicepresidente dell’OCP che punta alla sedia di presidente, e che vuole spingere a tutti i costi un prodotto scadente: l’ED 209 anche entrando in contrasto diretto con il progetto concorrente Robocop. Per fare questo utilizzerà tutti i mezzi leciti e illeciti arrivando ad assoldare una banda di criminali per eliminare la concorrenza all’interno dell’azienda.
Robocop è un ottimo spaccato della vita all’interno delle corporazioni, e di come queste siano legate sia alla criminalità che alla polizia.
L’estetica di Robocop non è particolarmente distante da quella contemporanea alla sua uscita, e a parte un po’ di gadget tecnologici e naturalmente i robottoni, non abbiamo nulla di particolarmente fantascientifico.
Per il resto Robocop ci fornisce qualche ulteriore spunto: a partire dal ruolo dei poliziotti che devono girare corazzati in una società ultraviolenta, alla TV che mostra una continua sequenza di notizie drammatie e pubblicità miste a show di intrattenimento al livello di I’d buy that for a dollar.
Ma è proprio la visione della megacorporazione che diventa il vero organo di governo e controllo del mondo cyberpunk l’elemento che più mi interessa.